background image
56

Caso 10. Trefiumi, 11 luglio.
Piccolo gregge detenuto in un recinto isolato con la
custodia di un cane. Rinvenuti 5 animali morti: 2 pecore
uccise e consumate, un agnello consumato, un agnello
decapitato, una pecora adulta integra morta per trauma
cranio cervicale contro un albero durante la fuga. La notte
seguente all'aggressione rilevata la presenza di un branco
di lupi mediante wolf howling e avvistato un lupo durante
il sopralluogo.









L'agnello decapitato, a sinistra, e, sopra, una
pecora adulta consumata.



Caso 11. Pianadetto, 13 luglio.
Gregge lasciato al pascolo in un recinto fatiscente custodito da una cagna maremmana,
allontanatasi in quanto in estro. Evento segnalato in ritardo poiché il pastore ha impiegato 2
giorni a cercare gli animali fuori dal recinto, in quanto i superstiti erano fuggiti. Una volta
avvistata una carcassa, si è ispezionato l'area recintata rinvenendo 11 soggetti uccisi di cui 4
consumati completamente. Dispersi altri 7 capi. La notte del 13 luglio localizzato mediante wolf
howling un branco di lupi esattamente nell'area del recinto oggetto dell'aggressione.

Caso 12. Rigoso, 8 agosto.
Uccisi 5 capi in pieno giorno. Il gregge è stato lasciato al pascolo incustodito, nonostante il
pastore sia stato dotato dall'ente Parco di una recinzione antilupo.

Caso 13. Cortellatico (Sala Baganza), 19 agosto.
Capre detenute a scopo amatoriale in un ampio pascolo recintato. Rinvenuto un capo ucciso,
disperso un secondo capo.Trovato nelle vicinanze un escremento attribuibile a lupo.

Caso 14. Cassio, 25 agosto.
Segnalata scomparsa di una capra da un gregge incustodito. Ritrovati solo frammenti d'ossa e
brandelli di pelle.

Caso 15. Cortellatico, 27 agosto.
Stesso recinto del caso 13. Rinvenuto ucciso e parzialmente consumato il caprone. Nel corso del
sopralluogo, rinvenuta la carcassa del soggetto scomparso in data 19 agosto, completamente
consumata.
background image
57
Caso 16. Passo Cisa, settembre.
Segnalata scomparsa di un agnellona.


Caso 17. Neviano de Rossi, 13
settembre.
Piccolo
allevamento
di
pecore
amatoriale, liberate alle ore 6 circa, il
proprietario ha visto 3 lupi inseguirle
dopo pochi minuti. Un capo è stato
ucciso e parzialmente consumato, altri
2 capi non sono stati ritrovati.



Casi 18 e 19. Borgotaro, settembre.
Segnalazioni all'ASL di 2 eventi con
l'uccisione di 3 e 2 pecore adulte in
allevamenti amatoriali.


Caso 20. Riana, 10 ottobre.
Vitello da carne di circa 6 mesi di età. Ucciso e consumato parzialmente; orme attribuibile a
lupo.

Carcassa del vitello al momento del sopralluogo; a destra, evidenza di morsi alla gola.

Caso 21. Langhirano, ottobre.
Segnalata uccisione e consumo di una capretta tibetana.

Caso 22. S. Genesio, Bardi. Ottobre.
Segnalata uccisione di 5 capi di un piccolo gregge ovino amatoriale.




background image
58

Caso 23. Costiolo, Berceto. 6 novembre.
Puledro di circa 6 mesi di grande taglia.
Ucciso e consumato al 50% in 2 giorni.
Numerose orme di lupo. Ferita anche la
madre ad una spalla.






Caso 24. Granere, Bardi. 14 novembre.
Uccisione di 8 pecore in un piccolo gregge amatoriale.

Caso 25. Monte Navert, novembre.
Segnalata la scomparsa di 2 puledri da un branco di cavalli da carne. La scomparsa è stata
rilevata al momento del raduno degli animali per il rientro dal pascolo; rinvenuti i resti di uno dei
puledri.

Caso 26. Valditacca, 20 novembre.
Due capre a scopo ornamentale fuggite al pomeriggio dalla scuderia in cui erano detenute.
Trovate il mattino seguente uccise da morsi, una completamente consumata. Tutte le orme
ritrovate sulla neve non sono attribuibili a lupi ma a cani.
6.6. Distribuzione stagionale.
La predazione a carico del bestiame domestico presuppone l'accessibilità dei predatori al
bestiame, che si verifica prevalentemente nel periodo primaverile ­ estivo, quando gli animali
sono condotti al pascolo allo stato brado o semi ­ brado. Si sono quindi individuate 2 stagioni
"funzionali":
-
l'inverno, compreso tra novembre e marzo, caratterizzato da una diffusa copertura
nevosa, quindi il periodo in cui si ha la minore presenza sul territorio di animali
domestici;
-
l'estate, tra aprile e ottobre, in cui si ha la massima disponibilità di animali domestici sul
territorio.
La distribuzione stagionale degli eventi corrisponde, in entrambi gli anni di indagine, a quanto
atteso in funzione dell'accessibilità agli animali domestici. Considerando inoltre che gran parte
dei casi segnalati nella stagione invernale è a carico di animali detenuti a scopo ornamentale allo
background image
59
stato brado per tutto l'anno, si conferma che l'incidenza dei danni da predazione è legato alla
disponibilità degli animali domestici durante il periodo di monticazione.
6.7. Specie colpite.
Ovini:
"vittima" del lupo per antonomasia, il numero di eventi conferma questa preferenza,
nonostante il patrimonio ovino in provincia di Parma non sia quantitativamente elevato e presenti
una distribuzione variabile sul territorio, sia per dimensioni che per tipologia di allevamento.
Ai fini della valutazione dell'impatto dei predatori, distinguiamo 2 tipologie di allevamento:
greggi di grandi dimensioni (n>100 capi) da reddito;
piccoli greggi (n<20capi) a scopo amatoriale.
I greggi di grandi dimensioni sono risultati presenti solo nell'area appenninica ad est del Taro,
mentre ad ovest del Taro sono numerosi i piccoli allevamenti amatoriali. La diversa tipologia di
allevamento influenza notevolmente la suscettibilità degli animali alle aggressioni da parte di
predatori. I grandi greggi godono sempre di una sorveglianza attiva da parte dei pastori,
coadiuvati da cani da conduzione e guardiania, e durante le ore notturne vengono ricoverati in
recinzioni protette. I piccoli greggi amatoriali invece sono di norma detenuti allo stato brado o in
appezzamenti recintati in modo assolutamente precario ed inefficacie nei confronti
dell'intrusione di predatori e sono ovviamente privi di alcuna forma di sorveglianza, tanto che
spesso le aggressioni esitano nell'estinzione del gregge.
Caprini:
l'alta incidenza di aggressioni a carico di capre è correlabile alla pratica diffusa di
detenere questi animali a scopo amatoriale e ornamentale, spesso allo stato brado per tutto
l'anno. La tipologia di allevamento giustifica il fatto che la predazione su capre prevalga nel
periodo invernale e che di norma gli eventi non vengano denunciati ufficialmente.
background image
60
Tipica
recinzione
non
idonea
alla
protezione
delle
greggi incustodite.
Equini:
le segnalazioni di perdite riguardano prevalentemente puledri neonati partoriti al pascolo
e solo in 1 caso si è potuto accertare la predazione da lupi, avvenuta immediatamente dopo il
parto. In un caso, alla segnalazione della scomparsa del puledro dopo 2 giorni dal parto, ha fatto
seguito il rinvenimento del cranio di un puledro in uno dei siti utilizzati dal branco per
l'allevamento dei cuccioli in alta val Baganza. Accertata anche la predazione di un soggetto di
circa 6 mesi d'età di un peso vivo superiore ai 300 Kg, ma, i dati raccolti, confermano che la
massima suscettibilità degli equini alla predazione si ha nelle prime 2 settimane di vita, per cui la
semplice misura di evitare che le fattrici partoriscano al pascolo incustodito, potrebbe essere
sufficiente a prevenire la maggioranza dei danni imputabili ai predatori.
Bovini:
la disponibilità di bovini suscettibili di predazione sul territorio è relativamente scarsa.
Le razze da carne più diffusamente allevate (limousine) allo stato brado nell'appennino
parmense hanno conservato meccanismi di difesa sociale nei confronti dei predatori efficienti: i
vitelli vengono mantenuti raggruppati in "nursery" costantemente sorvegliate, gli adulti inoltre
circondano immediatamente i vitelli al primo sentimento di potenziale pericolo, creando una
barriera di muscoli e corna impenetrabile. Diverso è il caso di animali derivati da incroci
industriali con vacche da latte, molto più docili, ma senz'altro meno adatte ad affrontare
predatori naturali. I vitelli sono lasciati soli e spesso la madre ha un comportamento "di tipo
equino", ossia fugge di fronte ai predatori fidando nella capacità del vitello di seguirla.
background image
61
Numero di capi per specie
e relativa frazione percentuale sul totale registrata nel biennio 2006/ 07.
background image
62
6.8. Conseguenze delle aggressioni.
Il fenomeno del "surplus killing" (uccisione di un numero di prede superiore alla possibilità di
consumo) è una tipica "aberrazione" comportamentale che si scatena nell'incontro tra un
predatore inseguitore, quale il cane e il lupo, e gli animali domestici, soprattutto se detenuti in
recinzioni che ne impediscano la dispersione nel corso dell'aggressione, innescando un
meccanismo di continuo stimolo all'azione predatoria.
Tale tendenza è confermata dai dati raccolti in provincia di Parma nel corso degli anni 2006/07.
Considerando gli eventi attribuiti e attribuibili a lupo, si ha una media complessiva di 2,8 capi
uccisi per evento, media che sale a 3,8 a carico degli ovini, mentre scende a 1 capo nel caso dei
bovini.
Esito degli eventi di predazione.
background image
63
Numero medio di capi uccisi per evento di predazione
6.9. Ricorrenza degli eventi per azienda.
L'analisi della ricorrenza delle aggressioni a carico delle aziende è un indice della efficacia delle
misure di prevenzione adottate. I dati raccolti evidenziano che la totale assenza di forme di
custodia che caratterizza gli allevamenti amatoriali di capre, li rende maggiormente suscettibili
ad attacchi ricorrenti.
Tipologia delle aziende colpite.
background image
64
Ricorrenza degli eventi per azienda.
6.10. Impatto economico del lupo.
In considerazione della sottostima quanti ­ qualitativa degli indennizzi ufficialmente erogati per i
danni da predazione al patrimonio zootecnico, si è cercato di stimare l'effettivo ammontare del
costo economico della presenza del lupo in un territorio in cui sia diffusa la pratica
dell'allevamento brado. Nella stima si è calcolato un costo di minima, basato sul valore di
mercato degli animali, ed un costo massimo valutato come potenziale valore degli animali.
capi
Costo minimo
Costo massimo
Bovini
2

1200,00

2000,00
Equini
9

3600,00

7200,00
Caprini
33

1650,00

4950,00
Ovini
92

7360,00

18.400,00
Totale (2006/07)

13.810,00

32.550,00
background image
65
6.11. Gestione del conflitto lupo/zootecnia.
Il problema dell'impatto del lupo sulle popolazioni di animali domestici è prioritario ai fini della
conservazione e gestione della specie. La normativa di tutela del lupo ha quindi sempre
considerato la necessità di prevedere forme di indennizzo per gli allevatori danneggiati, al fine di
prevenire forme di persecuzione e per tutelare gli allevatori, che non devono essere costretti a
subire da soli il costo della conservazione di una specie il cui valore è riconosciuto dall'intera
comunità internazionale. La legge nazionale di riferimento per la protezione del lupo e
l'indennizzo dei danni da esso provocati dovrebbe essere la L. 157/92 "Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", che include il lupo tra le specie
particolarmente protette (Art. 2 comma 1 ). La legge nazionale delega alle regioni la costituzione
e la gestione di un apposito fondo destinato al risarcimento dei danni arrecati alle produzioni
agricole da parte della fauna selvatica, "in particolare quella protetta". Purtroppo nell'articolo è
stata inserita la solita formula soggetta a libera interpretazione con la definizione dell'ambito di
applicazione in "danni non altrimenti risarcibili". La regione Emilia Romagna, nella legge
regionale di recepimento della 157/92, L.R. 6/2000 "Disposizioni per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per l'esercizio dell'attività venatoria", attribuisce alle Province la
competenza per il risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica protetta e nell'ambito
delle aree sottratte all'esercizio venatorio (art. 17). Istituisce inoltre il fondo regionale per il
risarcimento dei danni (art 18) stabilendo una ripartizione delle risorse tra le province
proporzionalmente alla superficie delle aree protette, introducendo inoltre il concetto che gli
indennizzi siano concessi entro i limiti di disponibilità delle risorse. Con una direttiva applicativa
del 19 dicembre 2000, la Giunta regionale stabilisce le modalità di applicazione dell'art. 18 della
L.R. 6/2000, limitando l'ambito di competenza alle produzioni agricole vegetali e animali
derivanti da allevamenti ittici. Di fatto, escludendo arbitrariamente le produzioni zootecniche
dalla definizione di "produzione agricola", viene escluso il lupo, e gli altri predatori, dalla tutela
offerta dalla L. 157/92. Il legislatore ha infatti individuato il modo di "risarcire altrimenti" i
danni provocati al patrimonio zootecnico da parte di predatori selvatici nella L. 281/1991 "Legge
quadro in materia di animali d'affezione e prevenzione del randagismo", recentemente recepita
dalla Regione Emilia Romagna con la L.R. 27/2000 "Nuove norme per la tutela ed il controllo
della popolazione canina e felina". La normativa nazionale in materia di prevenzione del
randagismo, con l'istituzione dell'anagrafe canina e la delega finale ai comuni o alle Comunità
montane di realizzare e mantenere un servizio pubblico di cattura, ricovero e mantenimento dei
cani randagi, nasce dalla necessità di risolvere il problema crescente del randagismo canino nel
background image
66
rispetto della crescente sensibilità popolare in materia di tutela e benessere degli animali
d'affezione, senza dimenticare la necessità di adeguamento alle prescrizioni igieniche previste
dal Regolamento di Polizia Veterinaria in materia di profilassi della rabbia. La normativa
regionale sul randagismo ha quindi assunto una forte connotazione animalista, senza considerare
i problemi creati direttamente e indirettamente dal randagismo alle zoocenosi naturali,
soprattutto in considerazione della lacunosa applicazione delle misure preventive previste (e
imposte dalla norma nazionale) da parte di Comuni e/o Comunità montane.
L'Emilia Romagna aveva anticipato il parlamento nazionale approvando già nel 1988 la L.R.
5/88 "Norme per il controllo della popolazione canina", che assoggettando i cani ad un regime di
tutela totale si assumeva la responsabilità di indennizzare i danni da essi provocati al patrimonio
zootecnico. Il lupo, al momento della sua ricolonizzazione dell'appennino emiliano, in assenza di
una normativa specifica come ad esempio quella della regione Abruzzo, ha goduto della tutela di
questa norma, anche in considerazione della difficoltà oggettiva nell'attribuzione degli atti di
predazione al lupo o a cani, tanto che il personale competente per l'accertamento dei danni si è
sempre espresso con la formula "predazione da canidi". Fino alla fine degli anni 90, seppure solo
parzialmente e sempre con notevole ritardo, gli allevatori sono stati indennizzati per i danni
subiti. L'abbondanza delle popolazioni di ungulati selvatici, soprattutto capriolo e cinghiale, e la
relativa scarsità di animali domestici accessibili (l'allevamento ovino è una realtà piuttosto
marginale) e il ripristino dell'impiego dei cani da difesa da parte dei pastori, hanno comportato
negli anni una progressiva riduzione dei danni provocati dal lupo. Una riduzione in realtà più
apparente che reale, indotta dalla concomitanza di diversi fattori che hanno inibito gli allevatori
nel denunciare tutti i casi di predazione subiti:
-
molte pratiche di indennizzo, a partire dall'emanazione della LR 7/2000, sono rimaste
inevase per mancanza di copertura finanziaria;
-
l'ammontare degli indennizzi è sempre stato considerato insufficiente;
-
gli oneri di smaltimento dei resti degli animali uccisi, obbligatorio per le misure di
prevenzione delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (BSE e SCRAPIE), sono a
carico dell'allevatore e spesso possono essere superiori al valore indennizzabile degli
animali;
Nel 2002 viene garantita la copertura finanziaria della LR 27/2000 e con la delibera n. 416 del 29
novembre 2002, il Consiglio Regionale ha definito le misure e i criteri di erogazione degli
indennizzi agli allevatori. Nella definizione di questi criteri non si è tenuto conto della necessità
di compensare totalmente le perdite subite dall'allevatore per poter infondere nuovamente
fiducia nel sistema degli indennizzi e interrompere il meccanismo della "prevenzione fatta in
background image
67
casa", ossia la persecuzione diretta del lupo. Tale delibera limita infatti il risarcimento al 90% del
valore medio di mercato degli animali uccisi, maggiorato di una quota pari all'80 % per i
soggetti iscritti a Libro genealogico. Oltre al fatto che il prezzo medio di mercato è normalmente
inferiore al valore effettivo di un animale per l'allevatore, non sono prese in considerazione le
consistenti perdite accessorie dovute ad un atto di predazione: tempo necessario al recupero delle
carcasse, spese di smaltimento, perdite di produzione (animali gravidi, riduzione del gregge in
caso di animali da latte), spese veterinarie per la cura degli animali eventualmente feriti e, nel
caso di soggetti iscritti al libro genealogico, perdita dei contributi relativi. Occorre inoltre
considerare che gli "allevamenti" più suscettibili all'azione dei predatori sono quelli di piccole
dimensioni che possiamo definire "amatoriali", privi di ogni forma di custodia e prevenzione, e
spesso in uno status di illegalità (mancata registrazione anagrafica dell'allevamento e/o dei capi
allevati) che ne preclude l'accesso agli indennizzi in caso di perdite da predazione. Negli anni
2006 e 2007 del monitoraggio, si è assistito ad una netta inversione di tendenza: a fronte di un
limitato aumento dei casi di predazione segnalati, si è registrato un significativo aumento delle
richieste di indennizzo. Le difficoltà operative che si sono riscontrate, nonostante i ripetuti
tentativi di sensibilizzazione e informazione rivolti alle categorie sociali e professionali
interessate, continuano ad essere:
-
disinformazione sulla possibilità di accedere ad indennizzi e sulle modalità di richiesta;
-
scarsa sensibilità operativa del personale tecnico preposto agli accertamenti;
-
disinformazione sui mezzi di prevenzione attuabili;
-
rifiuto degli allevatori ad applicare le misure di prevenzione proposte perché considerate
penalizzanti, sia economicamente che operativamente;
-
scarso interesse da parte degli amministratori nei confronti di un problema che al
momento continua ad avere dimensioni irrilevanti.
L'espansione del lupo verso areali di collina ha determinato una maggiore percezione popolare
della sua presenza e di conseguenza anche il rinnovarsi di timori nell'opinione pubblica di
atavico retaggio, spesso fomentati da notizie malamente divulgate dalla stampa locale con toni
catastrofici sul ritorno del lupo cattivo, devastatore di greggi e pericoloso per i fanciulli,
dell'immaginario popolare. In particolare i toni allarmistici della stampa hanno rafforzato la
credenza, fortemente appoggiata e divulgata soprattutto dal mondo venatorio, di fantomatiche
introduzioni di ingenti quantità di lupi attuate da organizzazioni ed enti di varia natura (verdi ­
ambientalisti- parchi ecc.). La convinzione che il lupo sia stato volutamente immesso sul
territorio, si associa ovviamente alla individuazione di diretti responsabili dei danni che essi
provocano (sia agli animali domestici che alla fauna selvatica) e al concetto che, come ci sono
background image
68
stati messi, possano essere eliminati. Pochi articoli sulla stampa locale hanno nell'ultimo anno
annullato gli sforzi di informazione e sensibilizzazione perseguiti nei vari programmi di
conservazione della specie.
7. Fattori limitanti e rischi per la conservazione.
L'espansione dell'areale del lupo cui si è assistito in provincia di Parma negli ultimi 3 anni, con
branchi che si sono insediati anche in ambienti collinari fortemente antropizzati, ha determinato
l'insorgenza improvvisa "della percezione" popolare della presenza del lupo, essendo in
ambiente collinare, caratterizzato da una minore copertura boschiva, più frequenti gli
avvistamenti. L'ignoranza popolare sulla biologia di questo animale, che appare e scompare
ovunque, ha inoltre fomentato la convinzione che improvvisamente sia apparso un numero
enorme di lupi, situazione che ha come unica spiegazione un massiccio intervento di
ripopolamento. Questa convinzione, da sempre sostenuta dagli "esperti" di estrazione venatoria
locali e non solo, si è talmente radicata nell'opinione pubblica di qualsiasi estrazione culturale,
da risultare ormai un ostacolo insormontabile ai fini di una corretta gestione della specie con
finalità di conservazione. Le categorie sociali che osteggiano fortemente la conservazione del
lupo, e dei predatori naturali in genere, sono quelle degli allevatori e dei cacciatori, spesso
coincidenti negli ambienti rurali. Tra le due classi ostili, sicuramente quella dei cacciatori è la più
pericolosa, poiché la soluzione del conflitto deve necessariamente passare attraverso
un'evoluzione culturale lenta e difficile che arrivi ad inculcare anche in questi cosiddetti
portatori di interesse i principi basilari dell'ecologia conservazionista. In particolari i cacciatori
di ungulati, sia cinghiale che cervidi,
vedono nel lupo un competitore diretto
responsabile di ridurre il numero di capi
disponibili per la propria attività:
direttamente sottraendo animali dal
territorio per predazione, indirettamente
perché convinti che gran parte delle
restrizioni ai piani di prelievo siano
indotte dalla necessità di garantire il
nutrimento per i lupi in quanto specie
protetta.