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1.8 TERRITORIALITA'

Il lupo, quando preda specie stanziali, è una specie territoriale e ogni
branco tende ad occupare un territorio esclusivo, dal quale eventuali
conspecifici estranei sono attivamente estromessi (Mech, 1974).
Il territorio occupato da un branco comprende le aree di caccia e di
spostamento (Mech, 1970). Questo è difeso tramite segnali di presenza
acustici, che agiscono a favore della distanza, come l'ululato (Harrington
e Mech, 1982) e olfattivi, come la marcatura odorosa (Peters e Mech,
1975; Rothman e Mech, 1979) che agiscono per un tempo prolungato:
tutto ciò consente di ridurre al minimo l'incontro diretto con individui
estranei. Gli incontri visivi con lupi dei territori limitrofi sono rari, ma
possono essere causa di scontri anche mortali.
Nel periodo delle nascite, poiché tutte le attività si concentrano in
prossimità della tana, il territorio si restringe: la femmina dominante, nei
primi due mesi di vita dei cuccioli, limita gli spostamenti ad un'area che è
circa il 13% del territorio invernale (Okarma et al., 1998).
I territori si ampliano molto in inverno, quando è più difficile la ricerca del
cibo. In estate l'attività del branco è maggiormente concentrata intorno
agli home-sites (Harrington e Mech, 1982).
Spesso i territori di branchi vicini possono sovrapporsi e si creano aree a
cuscinetto (buffer zones) frequentate da entrambi i branchi in momenti
diversi: le marcature odorose diventano, quindi, indicative dell'intervallo
temporale trascorso dall'ultimo passaggio (Mech, 1970 e 1995; Peters e
Mech, 1975; Fritts e Mech; 1981).
Inoltre, vicino alle buffer zones aumenta il livello di marcatura (Peters e
Mech, 1975; Lewis e Murray, 1993, Mech, 1995).
La dimensione del territorio può variare in funzione: (1) della densità e
della distribuzione delle prede, (2) della dimensione del branco, (3) della
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densità intraspecifica, e (4) del livello di alterazione del paesaggio ad
opera dell'uomo.
In Minnesota, le dimensioni variano dai 64 ai 384 Kmq (Mech, 1974).
Casi eccezionali si riscontrano in quelle popolazioni di lupo che si
nutrono principalmente di specie migratrici: la tipologia di territorio stabile
(inteso come area effettivamente difesa) non è rispettato. Nel Nord
America (Alaska e Canada), per esempio, le popolazioni di lupo
compiono lunghi spostamenti, con escursioni territoriali rilevanti,
seguendo le migrazioni delle specie preda (per esempio il caribou,
bisonte, Bison bison) (Carbyn, 1987 e 1997).
Al contrario in Europa centrale e nelle regioni del Caucaso, la
dimensione ridotta degli home ranges della specie (80-200 kmq)
coincide con la distribuzione continua del cervo, la preda preferita dal
lupo in quell'area (Okarma et al., 1998).
La distanza degli spostamenti dipende dalla distribuzione delle prede; i
lupi che vivono in aree con bassa densità di prede si spingono in aree
extraterritoriali e presentano una dimensione del territorio ampia e
instabile nel corso dell'anno (Messier, 1985). In alcune aree
caratterizzate da una forte antropizzazione e scarsità di prede selvatiche,
i lupi hanno sfruttato in modo opportunistico le risorse di origine
antropica (i rifiuti) ( Meriggi et al., 1991). Questo fenomeno ha causato
una modifica delle attività svolte nel loro territorio, che è divenuto
estremamente ridotto e stabile nel corso dell'anno, a causa del fatto che
la fonte di cibo era spazialmente localizzata per tutto l'anno. In tali
circostanze, nell'Appennino centrale (Abruzzo) i valori medi dell'areale
occupato oscillavano tra i 120-200 Kmq (Boitani, 1982; Ciucci et al.,
1997). Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in una popolazione di lupi
arabici in Israele dove le dimensioni dell'home range era di 60,3 kmq
(Hefner e Geffen, 1999).
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L'utilizzo del territorio da parte del branco, può variare durante l'anno in
dipendenza del ciclo biologico dell'animale e della distribuzione
stagionale delle prede.
Nel periodo primaverile-estivo l'attività del branco è localizzata intorno
agli home-sites (il sito della tana e i luoghi dei rendez-vous ).
I rendez-vous sono una sorta di punti di ritrovo, in cui i cuccioli, non
ancora capaci di seguire gli adulti negli spostamenti, aspettano il loro
ritorno. Sono stati descritti (Joslin, 1967) come aree semiaperte,
caratterizzate da un sistema di piste e giacigli e aree d'attività, circondate
da una fitta vegetazione, e prossime a fonti d'acqua. Da luglio ad ottobre
possono essere usati in sequenza fino a 8 luoghi di rendez-vous, anche
se solitamente uno è preferenziale (Joslin, 1967; Mech, 1970; Harrington
e Mech, 1982).
Studi effettuati con l'ausilio della telemetria nell'Appennino centrale
hanno evidenziato che le distanze minime percorse all'interno di un
territorio nell'arco delle 24 ore possono variare da 1-10 km a 17-38 km
(Boitani, 1986; Ciucci et al.,1997). Tali distanze vengono coperte
prevalentemente nelle ore notturne; infatti, gli spostamenti iniziano al
tramonto e continuano durante la notte per terminare il mattino
successivo, probabilmente coordinati con l'attività di foraggiamento delle
specie-preda e con le temperature più calde del giorno (Mech, 1995). La
velocità media di spostamento notturno è di circa 2,5 km/ora,
oltrepassando a volte i 7 km/ora (Ciucci e Boitani, 1998).
L'attività di branco è caratterizzata da movimenti radiali di individui
singoli o in coppia che si dipartono dall'home-sites e che generalmente vi
fanno ritorno dopo un giorno (Joslin, 1967; Harrington e Mech, 1982;
Fritts e Mech, 1981; Messier, 1985; Ciucci et al., 1997; Okarma et al.,
1998).
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A partire da ottobre i piccoli sono in grado di seguire gli adulti e lasciano
gli home-sites. L'abbandono non è definitivo ma graduale fino all'inverno
(Harrington e Mech, 1982).
Gli autori hanno osservato anche in dicembre che alcuni individui si
allontanavano dal branco per ritornare in un home-site, di solito quello
più utilizzato nel periodo estivo. Nello stesso studio è stato dimostrato
che il tasso di risposta agli ululati stimolati è maggiore negli home-sites e
non si verifica mai l'abbandono durante l'emissione.
Il forte legame al sito, luogo di esperienze positive per il lupo, è
indipendente dalle risorse e dimostra un ruolo rilevante nella dinamica
spaziale della specie. Da dicembre inizia la fase di coesione del branco,
le separazioni diventano rare fino ad aprile (Harrington e Mech, 1982) e
l'attività diventa di tipo nomadico.
In inverno il branco si muove, caccia e si riposa in posti occasionali
all'interno del territorio (Mech, 1970, Harrington e Mech, 1979, Okarma
et al., 1998).
I lupi sono attivi sempre sia di giorno sia di notte (Mech, 1970), nelle
aree con maggior disturbo antropico l'attività si concentra nelle ore
notturne (Ciucci et al., 1997, Hefner e Geffen, 1999). In questo modo si
riduce la possibilità di incontri con l'uomo per lupi che basano la propria
dieta su rifiuti recuperati in discariche di origine antropica (Ciucci et al.,
1997) o su carogne e domestico.
Al contrario, in Canada (Kolenosky e Johnston, 1967), nelle foreste del
Minnesota (Mech, 1992), in Alaska (Peterson et al.,1984) e nella Foresta
di Bielowieza (Theuerkauf et al., 2003) è stato evidenziato che i lupi
possono adattarsi alla presenza umana mantenendo invariato nel corso
delle ventiquattro ore il proprio stile di vita. La segregazione spazio-
temporale fra uomo e lupo dipende dall'attività di caccia di quest'ultimo.
Nelle aree più naturali, prive di insediamenti urbani e con maggior
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densità di prede selvatiche, il branco è attivo durante la notte, in rapporto
agli spostamenti e al foraggiamento principalmente notturno delle specie
preda (Theuerkauf et al., 2003).
I lupi si spostano frequentemente lungo sentieri, strade, forestali, linee
spartifuoco e lungo le piste di altri animali (Thompson, 1952; Joslin,
1967; Mech, 1970; Peters, 1993). I lupi sono spesso abitudinari e
utilizzano potenzialmente determinati sentieri anche per anni (Mech,
1970).
Gli spostamenti iniziano al tramonto e proseguono durante la notte per
terminare il mattino successivo (Mech, 1970). Quando è uccisa una
grossa preda, il branco può sostare nei dintorni della carcassa fino al suo
completo consumo (Mech, 1970; Harrington e Mech, 1979).
1.9 DISPERSIONE

Si definisce dispersione natale, il movimento di un animale dal sito
d'origine a quello di riproduzione, o al luogo dove potrebbe riprodursi nel
caso in cui incontri un compagno.
Secondo Geese e Mech (1991) i fattori che determinano la dispersione
nel lupo sono
1
la competizione per le risorse, soprattutto quando sono scarse,
2
la competizione per il partner, elevata nel periodo riproduttivo per
l'aggressività del maschio dominante nei confronti dei probabili
competitori subadulti,
3
la necessità di impedire l'imbreeding e favorire la dispersione
dei "geni" parentali.
La dispersione è un processo dinamico e graduale, non
necessariamente legato ad un singolo evento, ma caratterizzato da una
serie di spedizioni solitarie e extraterritoriali, alternate al
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ricongiungimento con il branco (Van Ballenberghe, 1983; Messier, 1985;
Geese e Mech, 1991). La loro durata può variare da pochi giorni (Fritts e
Mech, 1981) o tra una settimana e 12 mesi (Geese e Mech, 1991).
Il rientro successivo riflette, probabilmente, il fallimento nel trovare
un'area disponibile e/o un compagno (Van Ballenberghe, 1983), questo
è particolarmente diffuso in ambienti saturi e con scarsità di prede.
Solitamente la tendenza a lasciare il branco si manifesta nei giovani di 2-
3 anni (Ballard et al., 1997; Fritts e Mech, 1981; Peterson et al., 1984;
Hefner e Geffen, 1999). Durante l'anno sono stati evidenziati due picchi
di dipersione: uno tra febbraio e aprile e l'altro tra ottobre e novembre
(Geese e Mech, 1991), il picco autunnale è stato riscontrato anche nello
studio del 1981 di Fritts e Mech.
Il successo della dispersione può dipendere da numerosi fattori, quali (1)
la disponibilità di prede, (2) la disponibilità di aree vacanti, (3) l'incontro
con un compagno (Fuller, 1989), (4) l'esperienza e (5) la maturità
sessuale.
Solitamente i giovani inesperti si allontanano molto dal territorio natale a
seguito di numerosi fallimenti; gli adulti, invece, tendono a stabilirsi in
aree limitrofe al sito d'origine e hanno un successo maggiore (Geese e
Mech, 1991).
Oltre alla popolazione di individui che vivono in branchi territoriali, esiste
quindi, una discreta proporzione di lupi solitari e transienti, i quali si
muovono preferibilmente lungo i margini di territori già occupati (Peter e
Mech, 1975), ma con incursioni occasionali nei territori adiacenti
(Messier, 1985).
In Italia non disponiamo di dati al riguardo, se non per rari casi. Negli
anni `70 in Abruzzo è stato osservato il caso di un maschio radiocollarato
che in circa una settimana ha percorso 90 km (Boitani, 1986). Inoltre,
nella primavera-estate 2005, un lupo rinvenuto ferito in prossimità di
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Parma, a seguito del rilascio sull'Appennino parmense ha percorso più di
200 Km, giungendo fino in Francia.
Infine si è stabilito nelle Alpi Marittime italiane, in prossimità del territorio
di un branco di lupi. Proprio questi ultimi potrebbero essere stati
responsabili della sua morte.
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1.10 COMUNICAZIONE
1.10.1 La marcatura odorosa
La marcatura odorosa è una forma di comunicazione olfattiva, in cui il
lupo lascia il suo odore in una posizione strategica, ben visibile, in modo
che altri lupi possano in seguito ispezionarla (Mech, 1970). Kleiman
(1966) definisce la marcatura odorosa quella che:
1
è orientata verso particolari oggetti sconosciuti,
2
stimolata da riferimenti del paesaggi noti, o da odori e oggetti
sconosciuti,
3
ripetuta frequentemente sullo stesso oggetto.
Informazioni olfattive possono essere lasciate attraverso (1) l'urinazione
(Peters e Mech, 1975; Asa et al., 1985a, Vilà et al., 1994), (2) la
defecazione (Peters e Mech, 1975, Vilà et al., 1994, Asa et al.,1985a),
(3) la secrezione della ghiandola anale (solitamente rilasciate con le
fatte, ma anche singolarmente) (Asa et al., 1985a, 1985b), (4) le
raspature (rilascio di secrezione ghiandolare attraverso il raschiamento
del terreno con le zampe sia anteriori sia posteriori) (Fox, 1975; Peters e
Mech, 1975).
Sono state osservate tre modalità di orinazione, relative a posture
differenti di minzione:
1.
con tre zampe a terra e una alzata, definita Raised-Leg Urination
(RLU),
2.
con quattro zampe a terra leggermente divaricate, definita Squat
Urination (SQU),
3.
con una zampa flessa sotto il corpo, definita Flexed Urination (FLU)
(Kleiman, 1966).
Le caratteristiche della RLU evidenziano la funzione comunicativa
rispetto alla semplice eliminazione fisiologica: sono frequenti,
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caratterizzate da piccole quantità di urina, rivolte soprattutto su oggetti
verticali, scelti dopo una accurata ispezione olfattiva (Asa et al., 1990).
Depositate frequentemente lungo le strade e sentieri in punti strategici
(p.es. incroci di strade o sentieri), le marcature con l'urina consentono un
duraturo e prominente segnale sia olfattivo sia visivo, soprattutto nel
periodo invernale con copertura nevosa (Peters e Mech, 1975).
Inoltre osservazioni in cattività hanno rilevato che solo gli individui alfa
urinano con la postura RLU e FLU e il comportamento è estremamente
stereotipato (Woolpy, 1968; Asa et al., 1985). L'utilizzo di questi tipi di
marcatura aumenta prima e durante il periodo riproduttivo (Asa et al.,
1990).
La marcatura con urina (RLU) assolve un ruolo importante nel
mantenimento del territorio e una frequenza di marcatura più elevata è
stata riscontrata nelle zone di confine tra i branchi (Peters e Mech, 1975;
Lewis e Murray, 1993).
Harrington e Mech (1983) attribuiscono questo fatto al fenomeno
dell'ispezione e rimarcatura, stimolata maggiormente se si tratta di segni
lasciati da individui estranei. Il tasso di marcatura quindi, è più alto nelle
buffer zones, perché frequentate dai lupi estranei di zone limitrofe.
La variazione della frequenza di marcatura nel territorio può variare
anche in funzione del tempo trascorso dal branco in determinate aree. Il
tasso di marcature, per esempio, può essere più elevato nel caso di
zone intensamente ispezionate dal branco durante l'attività di caccia
(Paquet e Fuller, 1989).
La marcatura con urina (RLU) riveste un ruolo fondamentale nella
formazione e nel mantenimento del legame di coppia. Lo studio di
Rothman e Mech (1979) sulla marcatura odorosa nelle coppie di nuova
formazione, ha rilevato nel periodo del corteggiamento e subito dopo la
riproduzione, (1) un aumento del tasso delle RLU e (2) un aumento della
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doppia marcatura (due urine sovrapposte compiute dai membri della
coppia), questa solitamente associata ad una mutua ispezione. Questo
comportamento sembra essere un rafforzamento del legame della
coppia e consente la sincronizzazione sia fisiologica sia
comportamentale degli individui per il successo riproduttivo (Peters e
Mech, 1975; Rothman e Mech, 1979). Successivamente, quando la
coppia è diventata stabile, il tasso di marcatura diminuisce.
La funzione della SQU è reputata per lo più solo escretiva (Peters e
Mech, 1975), anche se in alcuni autori permangono perplessità riguardo
al suo eventuale utilizzo come marcatura (Paquet, 1991). I lupi solitari
depongono per lo più SQU al di fuori dei sentieri e hanno (1) un basso
tasso di marcatura, in conformità alla natura elusiva che devono
mantenere rispetto al branco,
(2) mostrano un comportamento ispettivo elevato, che gli consente di
evitare incontri spiacevoli con il branco dominante (Rothman e Mech,
1979).
L'utilizzo della deposizione fecale come marcatura non è chiaro e più
volte è stata messo in discussione. La deposizione fecale, infatti, non è
caratterizzata da una postura stereotipata, non è sempre
fisiologicamente disponibile, e la secrezione della ghiandola anale
(ulteriore segnale olfattivo) è presente solo nel 10% degli escrementi
(Asa et al.,1985a e 1985b).
La secrezione della ghiandola anale è deposta nelle fatte principalmente
dal maschio alfa, anche se tutti gli individui del branco possono
rilasciarla. Si pensa che la secrezione non associata alla fatta, sia
sintomo di stress e interpretato come segnale d'allarme (Asa et al.,
1985a e 1985b).
Peters e Mech (1975) considerano marcature le fatte poste in punti
strategici ben visibili, quelle associate con urina o raspata effettuate dallo
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stesso individuo o quelle ritrovate in alte concentrazioni accumulate nei
mesi.
La capacità dei lupi di deporre le fatte su oggetti prominenti e in
particolari siti e la frequenza con cui accade, suggeriscono un elevato
grado di controllo da parte del sistema nervoso centrale. Le fatte
ritrovate ai siti dei rendez-vous o vicino ad una preda avrebbero un
significato solo fisiologico (Peters e Mech, 1975).
Vilà et al. (1994) propongono la marcatura fecale come sostitutiva a
quella con urina, nei periodi o nelle regioni (p.es. paesi mediterranei),
dove manca la copertura nevosa: la marcatura con urina sarebbe priva
del messaggio visivo e quindi di minore intensità.
La marcatura fecale può facilitare la memorizzazione dei percorsi
all'interno del territorio, aiutando l'animale a ritrovare le vie già percorse.
Nella marcatura fecale sono preferiti incroci e cumuli di terra per
aumentare l'effetto visivo e olfattivo della marcatura. Kleiman (1966)
attribuisce la deposizione di fatte su mucchi di terra esclusivamente alla
maggiore visibilità che queste assumono in aree di maggiore importanza
strategica nel territorio, come i rendez-vous sites. Infatti, la maggior parte
delle fatte si concentra in incroci fra strade di frequente e facile
percorribilità: in questo modo si aumenta la probabilità che questi segnali
di allarme siano ispezionati da lupi estranei al branco (Barja et al., 2004).
In Polonia si è rilevato che la marcatura fecale non mostra un'ampia
variazione stagionale a differenza degli altri sistemi di marcatura
odorosa. Infatti il tasso di marcatura con urina e raspate è alto nella
stagione fredda (ottobre-marzo) con un picco nel periodo
dell'accoppiamento (gennaio-febbraio); i segni di marcatura si
concentrano anche spazialmente nelle zone di confine del territorio e
nelle core areas (Zub et al., 2003).
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Si è osservato che il maschio alfa ricorre sia alla marcatura con l'urina
che con le feci, mentre il maschio beta sembra far uso solamente della
deposizione fecale (Asa et al., 1985b).
La raspata è sia una marcatura visiva sia odorosa, infatti, attraverso lo
strofinamento delle zampe, sono rilasciate sul terreno le sostanze
secrete dalle ghiandole del cuscinetto plantare. Osservazioni in cattività
mostrano che solitamente la raspata è compiuta dalla coppia alfa, e si
pensa che abbia una funzione comunicativa all'interno del branco,
probabilmente nel mantenimento dello stato di dominanza (Peters e
Mech, 1975).
1.10.2 La comunicazione vocale
Joslin (1967) ha descritto quattro tipi di espressioni vocali nel lupo: (1) il
ringhio (growl), (2) l'abbaio (bark), (3) l'uggiolio (whimper), (4) l'ululato
(howling).
Theberge e Fall (1967) suddividono l'uggiolio in due subcategorie: il
guaito (squeak) e il piagnucolio (whine).
Le espressioni vocali rivestono ruoli fondamentali e specifici nella
comunicazione tra gli individui della specie.
Il ringhio (frequenza tra i 250-1500 Hz, con un massimo utilizzo attorno
agli 880 Hz) è una forma comunicativa che ristabilisce e aumenta le
distanze, sia fisiche sia sociali (Harrington e Mech, 1978), associato
frequentemente a posture di dominanza, è stato descritto come un
vocalizzo aspro e profondo, segnale di minaccia o allarme (Fox, 1975).
L'abbaio (frequenza tra i 320-904 Hz, con un massimo d'utilizzo attorno
ai 500 Hz) è piuttosto raro, può costituire la parte finale di un ululato
(Joslin, 1967) o essere un segnale di localizzazione o sollecitazione
(Rutter e Pimlot, 1968), o sintomo di tensione sociale (Boscagli, 1985).
L'uggiolio, caratterizzato da una frequenza fondamentale che ha
massimo utilizzo intorno ai 3500 Hz, è spesso utilizzato in contesti non
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aggressivi tra gli individui del branco, probabilmente è un mezzo per
ridurre le distanze fisiche e sociali (Harrington e Mech, 1978), spesso per
richiedere cure, come nel caso dei cuccioli nei confronti degli adulti.
L'ululato è un suono continuo della durata di alcuni secondi (0,5-11 sec),
con una frequenza fondamentale tra i 150-780 Hz e fino a 12 armoniche
superiori (Theberge e Falls, 1967), caratteristiche che garantiscono la
comunicazione a lunga distanza (Joslin, 1967; Theberge e Falls, 1967;
Mech, 1970; Harrington e Mech, 1979 e 1982). Le altre vocalizzazioni
sono udibili a distanze che non superano i 200 m (Joslin, 1967).
Udire un ululato spontaneo in natura è un evento raro: la maggior parte
delle volte si verifica di notte, tra il tramonto e l'alba, (in cattività, Zimen,
1971; in natura, Rutter e Pimlott, 1968), ma eccezionalmente anche di
giorno (Joslin, 1967, Mech, 1970).
Zimen (1971), in animali in cattività, ha riscontrato un incremento degli
ululati spontanei dall'autunno all'inverno, con un picco nella stagione
riproduttiva. Nei primi mesi estivi si osserva una riduzione e poi di nuovo
un incremento, che raggiunge il massimo valore in agosto.
Gli studi condotti sia in natura (Joslin, 1967, Harrington e Mech, 1978;
Harrington e Mech, 1979, Gazzola et al., 2002), sia in cattività (Zimen,
1971) con la tecnica del wolf-howling, hanno consentito di approfondire
le caratteristiche sonore, il ruolo comunicativo e l'andamento stagionale
del tasso di risposta. Joslin (1967), confermato dai successivi risultati
osservati in cattività, ha interpretato la riluttanza degli adulti ad ululare
nel primo periodo estivo come una forma di protezione nei confronti dei
piccoli. L'incremento successivo è determinato dalla forte tendenza dei
piccoli a rispondere agli stimoli (Harrington e Mech, 1979), visto che i
cuccioli iniziano a vocalizzare in luglio (Joslin, 1967; Mech, 1970).
Diversi autori hanno dimostrato la presenza di caratteristiche specifiche
negli ululati, che consentono il riconoscimento individuale (Theberge e
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Falls, 1967; Tooze et al.,1990) ed è stata evidenziata la capacità dei lupi
a riconoscere gli ululati familiari da quelli estranei (Tooze et al., 1990).
L'ululato è una forma di comunicazione importante, che riveste più ruoli
nella vita sociale del branco e tra i branchi:
(1) ha un significato sociale all'interno del branco (Rutter e Pimlott,
1968), l'ululato corale avviene solitamente dopo la cerimonia di gruppo
durante la quale si evidenzia un clima di distensione (Woolpy, 1968),
(2) ha la funzione di coordinare le partenze, le riunioni e i movimenti
degli individui del branco all'interno del territorio (p.es. negli eventi di
caccia),
(3) è un meccanismo di controllo del territorio con il quale il branco
afferma la presenza-possesso a tempo reale, evitando gli incontri con i
branchi adiacenti (Harrington e Mech, 1978, 1979).
I lupi possono rispondere agli ululati registrati simulati (estranei al
gruppo) con sei comportamenti fondamentali, caratterizzati da
un'aggressività crescente (Harrington, 1987):
- ritiro silenzioso,
- risposta e successivo allontanamento,
- risposta dalla stessa posizione,
- avvicinamento silenzioso,
- avvicinamento e risposta.
L'avvicinamento rimane un evento piuttosto raro, solitamente è il
maschio alfa che cerca di informarsi sull'estraneo (sesso, taglia, numero
d'individui) (Joslin, 1967; Harrington e Mech, 1979; Harrington, 1987).
Lo studio di Harrington e Mech (1982) ha evidenziato che l'ululato è un
meccanismo di controllo territoriale indipendente dalla localizzazione da
cui è emesso: il tasso di risposta, non è influenzato dalla posizione del
branco all'interno del proprio territorio, ma dalla distribuzione delle
risorse sia sociali (cuccioli), sia ecologiche (prede). Il tipo di
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comportamento adottato è in funzione della relazione costi-benefici; in
presenza di una preda o dei cuccioli, il branco, tende a rimanere nel
luogo della risorsa e la difende ululando, come segnale d'avvertimento
(Harrington e Mech, 1979). Se il grado del rischio è elevato, rispetto
all'eventuale risorsa, è preferibile non segnalare la propria presenza e
allontanarsi in silenzio.
Il tasso di risposta ad ululati estranei è influenzato anche: (1) dalla
dimensione del branco, gruppi numerosi rispondono più frequentemente
dei gruppi più piccoli, (2) dalla presenza del maschio alfa, il quale è
l'unico individuo che risponde singolarmente e che da inizio all'ululato
corale, (3) dalla stagione biologica, infatti la stagione riproduttiva
(febbraio-aprile) determina un aumento della aggressività all'interno del
branco e tra i branchi.
Questi fattori sono direttamente correlati con l'aumento del livello
d'aggressività che i lupi hanno verso gli individui estranei (Harrington e
Mech, 1979).
L'ululato non è solo comunicazione: è anche una "cerimonia" corale che
rinsalda i vincoli che uniscono il gruppo. I lupi ululano dopo che una
caccia di successo o dopo che un individuo è tornato dopo un lungo
periodo di assenza (Harrington e Mech, 1979).
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1.11 ECOLOGIA ALIMENTARE

L'areale pregresso del lupo era molto esteso e occupava l'intero
emisfero boreale. Tale successo è da attribuire alle peculiarità fisiche e
associative della specie, oltre che alla sua grande plasticità ecologica.
Il lupo è un predatore dotato di grande forza muscolare, abile e veloce
nei movimenti ed estremamente intelligente. L'elevata capacità
d'adattamento, ha consentito alla specie di sopravvivere, di adeguarsi
alle nuove situazioni, e di sfruttare le risorse disponibili presenti nei
diversi contesti ambientali, comprese le aree antropizzate. Infatti,
sebbene la struttura fisica e l'organizzazione sociale facciano del lupo un
predatore capace di uccidere e mangiare prede di grosse dimensioni
(Mech, 1970, Voigt et al.,1976, Fritts e Mech, 1981, Bjarvall e Isakson,
1982, Peterson et al., 1984, Ballard et al, 1987, Jedrzejewski et al.,1992
e 2000, Smietana e Klimek, 1993), la specie mostra un'ecologia
alimentare opportunistica, non necessariamente indirizzata ad una
carnivoria esclusiva, ma che può includere in diversa misura una varietà
di altre categorie alimentari (frutta, rifiuti) (Castroviejo et al., 1975,
Boitani,1982, Salvador e Abad, 1987, Meriggi et al., 1991, Patalano e
Lovari, 1993).
L'ecologia alimentare del lupo appare complessa, in quanto può variare
(1) da una dieta prevalentemente a base di ungulati selvatici, in un
ambiente naturale ottimale (Nord America, Europa orientale), (2) ad una
dieta opportunista composta di risorse di origine antropica (bestiame e
rifiuti), frutta e invertebrati, in aree caratterizzate da scarsa disponibilità
di ungulati selvatici e un maggior grado di antropizzazione come in
alcune aree dell'Italia, Israele, Spagna (Castroviejo et al., 1975; Salvador
e Abad, 1987; Meriggi et al., 1991; Patalano e Lovari, 1993).
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Il lupo è un predatore generalista, in grado di cacciare prede che
possono variare in dimensioni fino a tre ordini di grandezza: dagli
ungulati selvatici (p.es. cervo; alce) ai piccoli mammiferi (p.es. lepre,
gen. Lepus; castoro, Castor canadiensis; lemmings, gen. Lemmus).
Anche se la presenza di piccoli mammiferi (p.es. gen. Lepus) nella dieta
è documentata, solitamente queste categorie sono di minore importanza
negli ambienti con densità elevate di ungulati (Fritts e Mech, 1981;
Ballard et al., 1987; Jedrzejewski et al., 1992; Smietana e Klimek, 1993;
Mattioli et al.,1995; Okarma, 1995; Capitani et al., 2004; Gazzola et al.,
2005, Nowak, 2005, Smietana, 2005).
Poiché il lupo ha un areale molto ampio, popolazioni che vivono in aree
geografiche diverse utilizzano le specie preda disponibili in loco: ad
esempio, l'alce e il caribou in Alaska, il cervo coda bianca in Canada e
negli Stati Uniti, la renna (Rangifer tarandus tarandus) e l'alce in Svezia,
il capriolo e il cervo sulle Alpi, il cinghiale, il daino (Dama dama) e il
capriolo in Appennino e raramente il bisonte europeo (Bison bonasus) in
alcune aree dell'Europa orientale.
In condizioni naturali ottimali con una varietà e disponibilità di prede
selvatiche, la dieta del lupo si basa su una o due specie principali
(Thompson, 1952; Mech, 1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981;
Bjarval e Isakson, 1982; Peterson, 1984; Ballard et al., 1987;
Jedrzejewski et al., 1992; Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 1995;
Gazzola, 2000; Avanzinelli, 2001).
L'utilizzo preferenziale di una specie dipende essenzialmente
dall'abbondanza relativa, dall'accessibilità e fruibilità, intesa come
apporto di biomassa, in relazione all'energia e al tempo impiegati per
acquistarlo (Huggard, 1993).
Da ciò segue che, all'interno della specie, sono maggiormente
selezionati gli individui più facili da cacciare, in quanto molto vecchi o
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giovani oltre a quelli debilitati, come emerge da numerosi studi
(Thompson, 1952; Mech, 1970; Voigt et al.,1976; Fritts e Mech, 1981;
Bjarval e Isakson, 1982; Peterson et al., 1984; Ballard et al., 1987;
Salvador e Abad, 1987, Jedrzejewski et al., 1992; Smietana e Klimek,
1993; Mattioli et al., 1995; Poulle et al.,1997; Bertelli, 1998).
Nel Nord America le prede selvatiche del lupo hanno largamente
continuato ad occupare habitat con densità umana relativamente bassa,
ad eccezione del bisonte americano (Bison bison). Quest'ultimo è stato
virtualmente estirpato negli Stati Uniti, ma sopravvisse, e continuò
pertanto ad essere una preda del lupo nel nord-ovest del Canada
(Carbyn, 1997); è stato poi recentemente reintrodotto negli Stati Uniti nel
Parco Nazionale dello Yellowstone (Smith et al., 2000). Nel Nord
America i lupi non si nutrono di animali domestici, eccetto che in piccole
aree ed in estate, periodo nel quale questi possono diventare fonte di
cibo secondario.
In Canada la dieta del lupo è stata ampiamente indagata (in almeno 18
studi) durante gli anni '80 (Hayes e Gunson, 1995). Nelle regioni orientali
del Canada i lupi si nutrono di alce e di cervo coda bianca con
prevalenza di quest'ultimo, mentre in quelle occidentali si riscontrano
sistemi multi-preda, fino a quattro o cinque specie: wapiti, alce, cervo
coda nera (Odocoileus hemionus), pecora delle Montagne Rocciose
(Ovis canadensis) e caribou.
In Alaska le preda principale è l'alce e secondariamente il caribou
(Ballard et al., 1987).
In India e in Cina dove i lupi si nutrono prevalentemente di cibi d'origine
antropica, e solo in aree limitate fanno ricorso ad ungulati selvatici come
l'antilope cervicapra (Antilope cervicapra) (Gao, 1990; Jhala, 1993).
In Polonia, nei bassopiani del Parco Nazionale di Bielowieza
caratterizzati da foresta intatta, dove è presente la più ricca comunità
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europea di ungulati selvatici (cervo, capriolo, bisonte europeo, alce,
cinghiale) la preda principale è il cervo seguito dal capriolo e dal
cinghiale (Jedrzejewski et al., 2000).
Nel Parco Nazionale del Mercantour, dove attualmente sono presenti
ben sei specie di ungulati selvatici, l'attività predatoria è concentrata
prevalentemente su camoscio (Rupicapra rupicapra) e su muflone (Ovis
orientalis musimon). In questo caso, la prevalenza di predazione rivolta
sul muflone (introdotto), nonostante il camoscio abbia una maggiore
densità di popolazione, è dovuta allo scarso adattamento di questa
specie alloctona alla neve (Puelle et al., 1997).
Nelle montagne della Spagna meridionale (Estremadura e Sierra
Morena) il cinghiale e il cervo costituiscono una larga componente
alimentare, soprattutto in Sierra Morena dove ampie riserve di caccia
consentono un'alta densità di tali ungulati selvatici (Castroviejo et al.,
1975; Cuesta et al., 1991).
Sui Monti Cantabrici della Spagna, dove nella dieta del lupo prevale
invece il domestico, una componente principale è rappresentata dal
capriolo (Guitian et al., 1979).
In Grecia i lupi si nutrono generalmente di bestiame che vive liberamente
al pascolo (Adamakopoulos e Adamakopoulos, 1993), data la scarsa
presenza di prede selvatiche (Papageorgiou et al., 1994).
La composizione della dieta riflette la variazione stagionale e annuale
dell'accessibilità e la disponibilità della specie principale (Voigt et al.,
1976, Fritts e Mech, 1981; Bjarval e Isakson, 1982, Peterson et
al.,1984).
In Italia l'ecologia alimentare del lupo appare diversificata e riflette
l'accessibilità e la disponibilità delle risorse presenti nelle varie realtà
locali.
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Le prime indagini condotte negli anni settanta nell'Appennino centrale,
aree con scarsità di prede selvatiche, hanno sottolineato nella dieta del
lupo l'importanza dei rifiuti e delle altre categorie di origine antropica.
In Abruzzo il fenomeno dell'utilizzo delle discariche, come fonte
alternativa di cibo, sembrava trasformare il lupo da predatore ad un
mangiatore di rifiuti (60-70%) (Boitani, 1982), mentre in Umbria le specie
domestiche rappresentavano il 90% delle risorse alimentari (Ragni et al.,
1985). Questi risultati rappresentano in realtà eccezioni legate
soprattutto all'elevata antropizzazione e alla scarsa disponibilità di
ungulati selvatici di tali aree geografiche.
Gli incrementi sulla densità locale degli ungulati selvatici hanno
confermato la comparsa e l'aumento degli stessi, nella dieta nelle
medesime aree (Ragni et al., 1992; Patalano e Lovari, 1993).
Nei contesti ambientali, caratterizzati dalla presenza di popolazioni vitali
di ungulati selvatici (Foreste Casentinesi, Val di Susa, Appennino
settentrionale), si assiste al ripristino di una condizione naturale
originaria, in cui la dieta del lupo è costituita da fauna selvatica,
prevalentemente cinghiale e capriolo, seguiti dal cervo e da specie
localmente disponibili quali il daino e il muflone (Matteucci et al., 1994;
Mattioli et al., 1995, 2004; Meriggi et al., 1996; Bertelli, 1998; Capitani et
al., 2004; Gazzola et al., 2005).
Si osservano situazioni intermedie, laddove contemporaneamente agli
ungulati selvatici sono presenti categorie alimentari alternative, come
bestiame domestico, rifiuti e frutta (Meriggi et al., 1991 e 1996; Patalano
e Lovari, 1993; Ciucci e Boitani, 1998).
Secondo Meriggi et al. (1996) il lupo preda i domestici, sebbene più
vulnerabili, solo quando gli ungulati selvatici sono scarsi. Ipotesi
confermata da Meriggi e Lovari (1996) secondo i quali la scarsità di
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prede selvatiche costringerebbe il lupo ad integrare la propria dieta sia
predando animali domestici, sia facendo riferimento a carcasse e rifiuti.
Del resto, nonostante le specie domestiche, in particolare ovicaprini,
siano meno efficienti nella strategia di difesa propria e della prole, gli
attacchi al bestiame non rientrano comunque nella preferenza in quanto
comportano associato il rischio di scontro con l'uomo (Meriggi e Lovari,
1996).